Microsoft ha pubblicato la nuova edizione del Diversity & Inclusion Report 2021, documento che fotografa come diversità ed inclusione siano integrate nella cultura aziendale. Con il report l’azienda conferma il proprio impegno a tutelare i diritti di tutte le persone senza distinzione di genere, etnia, condizione fisica e orientamento sessuale.
Spesso la diversity e la CSR (Corporate Social Responnsibility) sono messe in relazione con l’innovazione (in particolare quella tecnologica sia di prodotto che di processo). Non sempre, però, le aziende ottengono risultati soddisfacenti con l’implementazione di questo tipo di politiche. In un recente studio Bocquet et al. (2019) provano a fare il punto su questa relazione, prendendo in esame un campione di 1348 piccole e medie imprese in Lussemburgo, i cui risultati possono essere utili anche per le PMI italiane. In riferimento al rapporto tra diversity e innovazione, è ragionevole attendersi risultati positivi, dato che la prima produce un certo numero di attività creative che hanno effetti benefici sulla seconda.
l volume,offre un approfondimento di informazioni già diffuse dell’Istat, indaga i tempi di vita delle persone a partire da circa 70 indicatori proposti dell’Unece per illustrare in modo standardizzato e comparabile alcune dimensioni della vita sociale ed economica dei diversi Paesi. Nella prima parte, dedicata ai tempi di lavoro, per la prima volta viene stimato il valore economico del lavoro non retribuito prodotto in Italia e si analizzano le differenze di genere nei carichi di lavoro totale per i diversi modelli di organizzazione familiare presenti nel Paese. La seconda parte analizza il legame tra benessere e tempi di vita: la conciliazione tra le diverse dimensioni della vita e la sovrapposizione tra tempi diversi (multitasking); il tempo dedicato alla socialità e alle attività del tempo libero; i tempi legati ai diversi stili di vita e il loro impatto sulla salute (sonno, modalità di spostamento, attività sedentarie). Particolare rilievo viene dato alla comparazione internazionale, resa possibile dalla recente (aprile 2018) pubblicazione da parte di Eurostat delle tavole relative alla seconda edizione delle indagini armonizzate europee.
“Le diversità sul posto di lavoro fanno riferimento alla varietà di differenze tra le persone all’interno di un’organizzazione, tra le quali genere, età, etnia, disabilità, orientamento sessuale, caratteristiche di personalità, stili cognitivi, istruzione, background ecc. In questo quadro, il diversity management si delinea come un’insieme di pratiche aziendali, finalizzate alla valorizzazione e al rispetto di tutte le diversità presenti nel contesto organizzativo, in grado di creare un clima aperto e inclusivo, nonché e una cultura in cui i lavoratori sono promossi per i loro meriti e le opportunità di crescita e di successo sono a disposizione di tutti.”
Come vengono gestite le tematiche femminili nelle aziende italiane? Come, al di là dei princìpi di pari opportunità, ormai ampiamente diffusi, le imprese si organizzano concretamente per valorizzare e fare crescere i talenti femminili, facilitare la conciliazione fra vita privata e vita professionale, rimuovere gli ostacoli che ancora troppo spesso frenano il percorso di carriera delle donne? Per capire cosa succede dietro alle cifre e agli indicatori, Valore D, in partnership con KPMG, ha promosso un’indagine in Italia nel corso del 2016, coinvolgendo i propri soci. Sono 62 le aziende che hanno accettato di mettersi in gioco, rispondendo a un questionario articolato in quattro aree: Measurement & Monitoring; governance e strategia; strumenti di gestione della diversity; programmi specifici e attività implementate.
L’indagine è stata realizzata attraverso la somministrazione a dicembre 2014 di un questionario (metodo CATI) rivolto ai direttori/responsabili del personale di un campione composto da 150 aziende rappresentative della popolazione delle aziende italiane con più 250 dipendenti. Il questionario è stato disegnato dai ricercatori del Diversity Management Lab di SDA Bocconi (Basaglia, Cuomo, Paolino, Simonella), la raccolta dati è stata curata da Pepe Research. Dall’indagine emerge che il tasso di adozione del diversity management è piuttosto basso, pari al 20.7%, anche se la percentuale sale al 46% se si considerano le imprese con più di 1.000 addetti1. I non adottanti sono il 79.3%, di cui la metà (50.7%) dichiara di essere interessato e/o di essere in una fase di valutazione di una possibile introduzione del tema nella sua azienda; mentre la restante parte (28.7%) raccoglie gli ‘irriducibili’ che non ha adottato e non è interessato ad adottare pratiche di gestione della diversità.
In un contesto che cambia è necessario vincere le resistenze al cambiamento, superare vecchi stereotipi e, soprattutto, comprendere il valore della diversità, evitando ogni forma di discriminazione. Questa è la sfida che una realtà bancaria – il Gruppo Cariparma Crédit Agricole – ha scelto di affrontare, dimostrando di credere nell’investimento sulle strategie di gender come qualificazione del profilo aziendale e come strumento capace di generare innovazione. L’espressione più autentica di tale investimento – che è insieme culturale, sociale, economico e professionale – è data dalla realizzazione del progetto “Artemisia”, frutto di formazione e di ricerca condotto con la collaborazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Come documentano queste pagine, si tratta di un progetto che ha prodotto un’analisi quantitativa della situazione del personale in un’ottica di gender, ha esplorato il contesto (bancario e non) a livello nazionale e internazionale, ha attivato dei focus group tra i dipendenti, fino a delineare proposte fattibili e favorevoli al bilanciamento dei ruoli di genere.
La missione del rapporto è quella di analizzare gli sviluppi circa il primo rapporto annule sulle diversità, pubblicato da Google nel 2014. La ricerca mostra i progressi verso una forza lavoro più rappresentativa, in cui la diversità, l’equità e l’inclusione diventano imperativi aziendali da raggiunngere al fine di migliorare i risultati per i propri dipendenti, per i prodotti realizzati e per gli utenti. L’obiettivo del rappoto è quello di definire una serie di elementi volti ad aumentare la rappresentanza della forza lavoro e per crearne di più inclusivi…
La possibilità per le imprese di ottenere un vantaggio competitivo attraverso la valorizzazione delle diversità individuali si sta concretizzando, anche nel contesto europeo e italiano, nella definizione di una nuova strategia di gestione delle risorse umane, meglio nota come diversity management (Dm). In Europa però, la logica americana del business case si è tradotta nella definizione di Carte della diversità volte a costruire, a livello istituzionale, un comune framework di riferimento per le politiche di diversità, ma anche di inclusione e lotta alle disuguaglianze.
Puntare sul Diversity Management significa, per un’organizzazione, promuovere strategie di reclutamento e gestione delle risorse umane che mirano alla valorizzazione delle diversità (di genere, origine etnica, età, abilità fisiche, orientamento sessuale, identità di genere). L’ipotesi che sta alla base del Diversity Management è che una gestione della forza lavoro centrata sull’inclusione e sulla promozione della diversità offra ad aziende e amministrazioni pubbliche una serie di vantaggi competitivi: incentivo al cambiamento, valorizzazione dei talenti, spinta a trovare soluzioni innovative, capacità di rispondere all’eterogeneità di clienti e mercati, aumento del commitment dei dipendenti, valorizzazione dei background formativi e di esperienza, creazione di un ambiente di lavoro più armonioso.