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Occupazione femminile e condizioni di lavoro

Occupazione femminile, serve rispettare gli impegni assunti per un futuro paritario (di Valeria Fedeli, 16 settembre 2021, alleyoop.ilsole24ore)

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Gli ultimi dati Istat sull’occupazione dicono due cose: 1) nel secondo trimestre del 2021 torna a salire il numero degli occupati (benché quasi tutti a termine, 2) il divario occupazionale di genere non risulta ancora in alcun modo scalfito. Non si registrano infatti sostanziali variazioni rispetto al drammatico crollo dell’occupazione femminile registrato alla fine del 2020 quando sul totale dei posti di lavoro persi il 99% risultarono posti di lavoro persi da donne.

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La svolta rosa del welfare interaziendale (di welforum.it, 11 novembre 2020)

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La mancanza di servizi per la conciliazione vita-lavoro conduce ad una disuguaglianza di genere estremamente marcata in Italia. È giunto il momento di colmarla. La crisi da Covid-19 e il lockdown hanno confermato la preoccupante situazione occupazionale femminile, ancora troppo subordinata al fragile equilibrio fra vita privata e professionale. Quando il 4 maggio è stato dato il via alla cosiddetta “fase 2”, il 70% degli occupati in possesso dell’autorizzazione a tornare al lavoro appartenevano al genere maschile, mentre i settori più fragili restano quelli a prevalenza femminile. Inoltre, solo un anno fa, il rapporto dell’Organizzazione mondiale del lavoro ha rivelato che, tra il 2005 e il 2015, lo «svantaggio occupazionale dovuto alla maternità», ossia la differenza in termini di proporzione di lavoratrici adulte con figli di età inferiore ai sei anni rispetto alle lavoratrici senza figli piccoli, ha registrato un aumento del 38%.

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Report 5° incontro “Imprenditoria femminile e non solo.” di Annalisa Ferrari

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Con un titolo tra l’apodittico e il provocatorio, siamo arrivate al penultimo dei sei incontri di approfondimento promossi da CDS Cultura e Centro Donna Giustizia in occasione della ricorrenza della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che le due associazioni hanno voluto declinare con un focus particolare sulla violenza economica. Il 4 dicembre, in diretta Facebook, nell’ormai consueta “finestra” che è diventata la nostra location virtuale, si affacciano in collegamento le nostre ospiti odierne: Jessica Morelli – Presidente di Impresa Donna di CNA Ferrara – Formatrice, imprenditrice della fotografia e della comunicazione social e web – Daniela Oliva – Presidente di IRS Istituto per la Ricerca Sociale e Direttrice dell’Area Politiche della formazione e del Lavoro e “animatrice” del network Gender Community e Angela Travagli – Assessora al Lavoro, alle Attività produttive, al Patrimonio alle Fiere e Mercati del Comune di Ferrara/Libera professionista consulente del lavoro/Componente del Comitato scientifico degli Stati generali delle donne in Hub. Subito dopo il saluto di apertura di Cinzia Bracci Presidente del CDS Cultura, è Paola Poggipollini del Direttivo CDS a prendere il coordinamento del tavolo e ad introdurre il tema in discussione, che ha per focus l’imprenditoria al femminile, ma che ben presto si allarga a considerazioni di largo respiro di carattere culturale, politico e sociale.

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Il Gender Gap si batte a partire dagli appalti (di Viola Giannoli, La Repubblica, 20 settembre 2020)

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Più parità di genere hai, più punti guadagni per aggiudicarti la gara d’appalto. Non sarà a colpi di bandi che si risolverà il gender gap, ma c’è un fronte tutto da esplorare che viene sperimentato per la prima volta in Italia, scesa quest’anno al 76esimo posto nel mondo per divario di genere secondo il “Global gender gap report” del World economic forum. Uno scarto che, senza interventi normativi, sarebbe sanabile solo nell’arco di 70 anni, stando alle stime del Cnel.

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Solo metà delle madri laureate lavora full time (Il Sole 24 Ore, 15 giugno 2019)

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“Oggi la donna è indipendente, lavora, e per questo non fa più figli”. Falso, oltre che offensivo. Una nota di Istat resa nota in questi giorni mostra che in dieci anni la quota di coppie (con o senza figli, dove lei ha fra i 25 e i 64 anni) dove entrambe le persone lavorano è passata dal 40% al 44% del totale. Una crescita insignificante, addirittura nulla al sud, dove il 26% delle donne in coppia ha un lavoro, anche se non è detto che questo basti comunque per essere indipendente. Non che altrove le cose vadano molto meglio: oggi è occupato il 55% delle donne in coppia al nord e il 50% di quelle che vivono nel centro Italia. L’incidenza e? ancora piu? bassa in quelle, specie nel Mezzogiorno, in cui la donna ha conseguito un titolo di studio basso e nelle coppie con due o piu? figli.

 

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Divari di genere: la trasparenza aiuta a limitarli? (Alessandra Casarico e Salvatore Lattanzio, lavoce.info, 7 febbraio 2020)

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Ridurre i divari di genere nel mercato del lavoro rimane un compito prioritario, ma difficile da realizzare. È della scorsa settimana la risoluzione del Parlamento europeo sul gender pay gap, che invita gli stati membri ad adottare politiche più decise per contrastare il fenomeno. Intanto, è in corso nel nostro Parlamento un dibattito su diverse proposte di legge di modifica del Codice delle pari opportunità (decreto legislativo 198 del 2006) per rendere più vincolanti per le imprese gli obblighi di comunicazione dei dati sulle retribuzioni e sugli occupati uomini e donne. In particolare, la discussione verte su tre elementi chiave: la soglia in termini di dimensione dell’impresa a cui applicare quegli obblighi; il tipo di informazioni richieste alle imprese e i destinatari della loro raccolta; la previsione di sanzioni per le aziende che non ottemperino all’obbligo di presentazione dei dati.

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Professioni, in Italia le donne guadagnano il 45% in meno (di Flavia Landolfi, Il Sole 24 Ore, 24 gennaio 2020)

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Una professionista calabrese percepisce una retribuzione che in media vale un quinto di quella di un collega lombardo: 13mila euro contro 64mila, per la precisione. Il corto circuito del divario retributivo tra donne e uomini nel mondo delle professioni è fenomeno tristemente diffuso e generalizzato. Non c’è zona d’Italia che ne sia immune visto che nella Ue è largamente applicato. Ma nel Mezzogiorno assume connotazioni drammatiche, con una sperequazione che viaggia su un gap dell’80 per cento. Su una media nazionale, invece per una professionista il reddito a fine mese è più leggero del 45 per cento di quello che percepisce un suo collega. Magari proprio il partner, con tutto quello che ne consegue in termini di scelte dettate, per esempio, dalla nascita del primo figlio. E da chi dei due resterà a casa.

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Lavoro flessibile contro le disuguaglianze (di Paola Profeta, Il Sole 24 Ore, 22 luglio 2019)

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Secondo l’ultimo rapporto dell’Ispettorato nazionale del lavoro, oltre 30mila madri lavoratrici hanno lasciato il lavoro nell’ultimo anno, spesso in modo definitivo. Di queste, la metà dichiara di averlo fatto per ragioni riconducibili all’incompatibilità tra il lavoro e la cura dei figli, quali gli elevati costi di cura, il mancato posto all’asilo nido, l’assenza di familiari di supporto. Per più di una donna su tre la decisione è stata determinata dalla mancanza di flessibilità degli orari e delle condizioni di lavoro. La flessibilità è una delle principali richieste delle madri lavoratrici. Non è una novità: dalle madri lavoratrici viene spesso la richiesta di part-time. Non sempre però il part-time è possibile e non sempre è la soluzione ideale, poiché implica minore salario e minori possibilità di carriera. Questi rischi sono noti, eppure la domanda di flessibilità resta elevata.

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Liberiamo il tempo delle donne (di Erica Aloè, inGenere, 14 gennaio 2020)

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Il lavoro domestico e di cura non retribuito (in inglese: unpaid care and domestic work) rappresenta un’ampia fetta dell’attività economica mondiale. Ciononostante, il suo valore continua a non venire misurato e, quindi, finisce per essere trascurato. Questo tipo di lavoro è svolto prevalentemente dalle donne e anche se le disuguaglianze di genere si sono ridotte nel corso degli anni rimangono significative. Anche negli stati che hanno fatto della parità di genere una bandiera, le donne continuano a svolgere almeno il 20 percento in più di lavoro non retribuito rispetto agli uomini. Un recente studio del Fondo monetario internazionale (Fmi) ha illustrato come la quantità di lavoro domestico e di cura non retribuito svolto dalle donne sia inversamente proporzionale allo sviluppo economico dei paesi. L’avanzamento tecnologico e la mercerizzazione economica riducono la quantità di lavoro non retribuito e permettono una crescente partecipazione delle donne al mercato del lavoro retribuito. Tuttavia, lo studio rileva che anche le regole sociali e il sistema di valori hanno una fondamentale importanza nel ridurre e ridistribuire il lavoro non retribuito.

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Medicina di genere: ecco perché l’Italia è all’avanguardia in Europa (di Redazione Salute, Il Corriere della Sera, 27 novembre 2019)

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Le donne soffrono di depressione da 2 a 3 volte più degli uomini, ma meno di malattie cardiovascolari (3,5 vs 4,9%) che però rappresentano la loro prima causa di morte. Uomini e donne sono diversi, anche per quanto riguarda la salute. Una conferma arriva dal Libro bianco «Dalla Medicina di genere alla Medicina di precisione», realizzato da Fondazione Onda grazie al supporto di Farmindustria e presentato a Roma. Le donne soffrono di depressione da 2 a 3 volte più degli uomini, non solo per fattori biologici, quali il ciclo ormonale e l’effetto degli estrogeni, ma anche sociali, come il multitasking (e il conseguente stress) e la violenza di genere. Al contrario, le malattie cardiovascolari, considerate quasi esclusivamente appannaggio del sesso maschile, che in effetti ne è più colpito rispetto alle donne (4,9 vs 3,5%), rappresentano la prima causa di morte delle donne (48 vs 38 per gli uomini). Alla base, c’è innanzitutto un impatto maggiore di alcuni fattori di rischio, quali fumo e diabete che ne causa una prognosi peggiore. Seppur le donne fumino in media meno degli uomini (14,9 vs 24,8%), a loro basta fumare un terzo delle sigarette dell’uomo per avere lo stesso rischio cardiovascolare; inoltre, la donna con diabete ha un rischio cardiovascolare superiore del 44% rispetto all’uomo con pari compenso glicemico.

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