Basterebbero 800 milioni di euro per dare un anno di asilo nido gratis a tutti i bambini che trovano posto nelle strutture pubbliche e private esistenti in Italia. Un budget che risulta non molto superiore a quello già stanziato per i prossimi anni tra bonus nido (330 milioni dal 2020) e bonus bebé (240 milioni per il 2020, poi la misura andrebbe rifinanziata). Ma che andrebbe a sostenere solo il 21,7% delle famiglie: c’è posto solo per un bambino su cinque negli asili nido privati e pubblici (esclusi i servizi integrativi) oggi attivi in Italia, seppur con grandi differenze sul territorio. La stima del Sole 24 Ore sulla copertura finanziaria necessaria per la misura “asili nido gratis”, annunciata nell’ultimo discorso di insediamento del presidente del Consiglio Giuseppe Conte è il risultato di una somma: da un lato c’è la spesa annuale pagata dalle famiglie degli iscritti nei nidi comunali e convenzionati, che vale 276 milioni di euro (dato Istat 2016/2017); dall’altra c’è la proiezione della retta media (300 euro, secondo Cittadinanzattiva) sul totale dei posti disponibili nei nidi privati, altri 460 milioni. Così, con poco meno di 800 milioni, si potrebbe garantire l’accesso gratuito a tutti senza limitazioni reddituali.
La Legge di Bilancio 2020 sul fronte dei bonus alle famiglie conferma la linea degli anni precedenti. I 600 milioni di euro stanziati, salvo qualche piccola novità, verranno utilizzati per rinnovare i vari bonus già esistenti nel 2019. Sembra dunque che bisognerà aspettare il 2021 per l’introduzione dell’assegno unico di cui si è tanto discusso negli ultimi mesi e che accorperà in un unico contributo tutte le misure frammentate e una tantum attualmente attive. Di seguito l’elenco delle misure che, come detto, contano qualche novità rispetto allo scorso anno. Diversi bonus sono stati confermati e, in alcuni casi, potenziati.
Un allungamento del congedo obbligatorio dopo la nascita di un figlio, da cinque a sei mesi, consentendo al papà di non andare al lavoro per un mese intero. È la novità alla studio del governo che ha iniziato mettere a punto un nuovo intervento in favore delle famiglie per aiutarle a conciliare i tempi della vita tra casa e lavoro. Una prima serie di interventi il governo li ha già messi in campo con l’ultima legge di Bilancio che, ad esempio, ha portato il “permesso” alla nascita di un figlio da 5 a 7 giorni per i neopapà. Tre poi gli interventi economici: il contributo alla spesa dell’asilo nido che può arrivare fino a 3mila euro, un bonus di 400 euro per l’acquisto di latte artificiale, limitato però alle mamme che hanno specifiche patologie e non possono allattare, e – soprattutto – la modifica del bonus bebè che da quest’anno va a tutti i nuovi nati, senza che debba essere conteggiato nella dichiarazione fiscale ma tenendo conto del reddito dei genitori.
«Il Family Act sarà presentato a giorni e le coperture saranno individuate sia in manovra di bilancio sia attraverso una ricognizione delle risorse ad oggi stanziate». Quella in preparazione al dipartimento delle politiche per la Famiglia è «una riforma complessiva», sottolinea la ministra Elena Bonetti che, con il suo team, sta mettendo a punto «un quadro organico di politiche, un “pacchetto” strutturato e orientato ai bisogni concreti», così lo descrive con le sue parole. Il Family act, battezzato così da Matteo Renzi in linea con il “suo” precedente – e tanto discusso – Jobs act, è sostenuto da Italia Viva a cui la ministra Bonetti ha aderito.
Nove mesi di gravidanza, 11 ecografie, sette prelievi. Del bambino si sapeva (quasi) tutto. Della mia salute fisica anche. Eppure delle mie emozioni, di quello che provavo, della mia salute mentale non si (pre)occupava nessuno. Poi è nato mio figlio: altre misure, altre visite: «Molto bene, signora, il piccolo misura 57cm e ha preso 250 grammi in 7 giorni. Lei lo allatta?». E ancora, nessuno mi chiedeva: «E lei mamma, come sta? Come si sente?». Ho provato allora a dire a famigliari, amici e conoscenti, a volte pure alla vicina: «Il bambino sta bene, cresce, però, sai, a volte è dura. Non è tutto rosa e fiori come me lo aspettavo».
Il Consiglio dei ministri spagnolo ha approvato un decreto legge per l’ampliamento del permesso di paternità in maniera progressiva fino a 16 settimane (sei delle quali obbligatorie), al 100% dello stipendio, per equipararlo con quello di maternità e favorire così la corresponsabilità genitoriale. La misura è stata annunciata dalla vicepremier e ministra all’uguaglianza, Carmen Calvo, nella conferenza stampa successiva alla riunione del governo.
La Spagna ha fatto grandi passi avanti rispetto all’Italia in termini di condivisione della cura dei figli, ma se confrontata con alcuni casi esemplari dell’Europa del Nord può restituirci bene la misura della strada che resta ancora da fare. Se un padre norvegese ha a disposizione 112 giorni di permesso di paternità, un padre spagnolo, fino ad ora, può beneficiare solo di 35 giorni, quindi meno di un terzo. Il congedo di paternità, in Spagna, poco alla volta ha conquistato tempo, ma è sempre rimasto indietro rispetto al congedo di maternità. Nel marzo 2007 i padri sono passati da 2 giorni a 2 settimane, dieci anni dopo sono arrivati a 4 settimane e dal luglio 2018, a 5 settimane.
La cittadella universitaria si arricchisce di un nuovo spazio, un punto aperto alle studentesse, alle docenti, al personale tecnico amministrativo, alle dottorande e assegniste di ricerca che hanno bisogno di uno spazio tranquillo per allattare e cambiare i propri figli. Inaugurato in Via B. Andretta, 4 (ex-Belmeloro 10-12), a Bologna, il Baby Pit Stop dell’Alma Mater. Il Rettore Francesco Ubertini e la Prorettrice alle Risorse umane Chiara Elefante, hanno presentato il punto di allattamento ricavato all’interno di locali universitari e ispirato all’iniziativa promossa dall’Unicef.
Conciliare impresa o libera professione e maternità è possibile: lo strumento pensato dalla Provincia dieci anni fa è quello della co-manager, figura professionale che si incarica di portare avanti l’attività svolta dalla neo-mamma per tutto il tempo necessario, anche fino al 12esimo anno di vita del bambino, recita la legge provinciale. Un “passaggio di testimone” che comporta necessariamente l’instaurarsi di un rapporto di fiducia reciproca, a beneficio di entrambi: della lavoratrice autonoma, che non è costretta a chiudere l’attività per dedicarsi ai figli, e alla co-magarer, spesso una donna (o anche un uomo) in possesso di competenze professionali specialistiche, ulteriormente affinate e certificate per poter svolgere al meglio questo nuovo incarico. Stamani in Provincia il bilancio dei primi 10 anni di questa iniziativa, che ha portato all’avvio di 80 progetti – partiti operativamente dal 2013 – seguiti dall’Agenzia della Famiglia e dall’Agenzia del lavoro.
La scelta del patron della Brazzale, 550 dipendenti: “Un piccolo aiuto a chi si prende la responsabilità di procreare”. Lo stipendio mensile in più sarà versato anche ai padri, o a chi adotterà un bambino. Unico requisito: essere dipendenti da almeno due anni e assicurare la collaborazione per i due successivi a ogni lieto evento.