L’Italia è intrappolata da anni in un equilibrio di bassa fecondità e bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro. Nascono pochi bambini (nel 2019 ci sono state 435 mila nascite) e poche donne (soprattutto poche madri – il 54,5 per cento nella fascia di età 25-64) hanno un’occupazione. La nascita di un figlio è sicuramente un momento cruciale per la vita delle donne in generale, e per quella lavorativa in particolare, e pone le madri su un sentiero diverso rispetto ai padri (o alle donne senza figli). Diminuisce la partecipazione al mercato del lavoro, diminuiscono le ore lavorate, anche per un maggior ricorso al part-time, diminuiscono i redditi e non solo nell’immediatezza della nascita, ma anche a distanza di anni.
Fondazione Bracco, in collaborazione con Percorsi di secondo welfare, ha promosso un ciclo di approfondimenti sulle Fondazioni di impresa italiane coinvolgendo osservatori privilegiati, studiosi ed esperti di varie discipline. L’obiettivo, alla luce delle nuove e complesse sfide sociali sollevate dalla pandemia di Covid-19, è quello di ragionare trasversalmente sul ruolo che le Corporate Foundations del nostro Paese stanno giocando, e potranno giocare nel prossimo futuro, inserendo tali riflessioni in un una cornice analitica il più possibile ampia e articolata.
Ci eravamo un po’ illusi: dopo la scalata all’inizio dell’anno di Christine Lagarde approdata alla guida della Bce orfana di Mario Draghi, pensavamo che anche i vertici delle banche italiane cominciassero ad adeguarsi dando molto più spazio alle donne manager come sta succedendo in altri Paesi (è il caso della stessa Russia dove governatrice della Banca centrale è Elvira Nabiullina). Ma, per il momento, la “valanga rosa” non c’è ancora stata perché, secondo gli ultimi rilevamenti del sindacato dei lavoratori del credito Uil, su 330 banche il “top management” femminile raggiunge solo “quota 28”, appena il 4,2% di tutte le posizioni di comando, 660 in tutto. Una evidente sproporzione, tenendo pure conto che, complessivamente, la forza-lavoro femminile nel mondo bancario italiano si è moltiplicata negli ultimi vent’anni arrivando quasi a pareggiare il numero degli uomini.
ll data scientist non è un lavoro per donne. Poco pratico, adatto ai nerd dei computer, estremamente competitivo. Lo dicono le donne stesse: 81 su 100 definiscono questa professione come troppo competitiva e il 48% la ritiene di scarso impatto sulla società. Non stupisce che su 55 ragazze iscritte all’università, 35 sceglie un indirizzo scientifico-informatico (materie Stem), 25 lavora effettivamente nel settore scientifico attinente al titolo di laurea, e solo 15 diventa una data scientist. È quanto emerge dal nuovo studio di Boston Consuting Group (Bcg). “What’s Keeping Women Out of Data Science” realizzato su un campione di 9.000 studenti e neo-laureati, under-35, di 10 paesi (Australia, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Giappone, Spagna, Stati Uniti, Regno Unito).
La legge Golfo-Mosca, nel 2011, introdusse le quote di genere, prevedendo l’obbligo che almeno un terzo dei consiglieri di amministrazione e dei sindaci delle società quotate appartenessero al genere meno rappresentato (leggi, ovviamente, donne). La legge aveva una “data di scadenza” (le chiamano “sunset clauses”): originariamente l’obbligo avrebbe dovuto sussistere solo per tre mandati, ossia, essenzialmente, nove anni. L’idea era che ciò fosse sufficiente per infrangere il “soffitto di vetro”, radicare una cultura più aperta e inclusiva e consentire lo sviluppo e la valorizzazione di adeguate professionalità. Dopo quel termine, ossia a partire all’incirca dal 2020, si riteneva che l’autodisciplina e le buone prassi sarebbero state sufficienti. Nella legge di bilancio 2020, tuttavia, il legislatore ha voluto estendere l’obbligo per ben sei ulteriori mandati (potenzialmente, 18 anni) e, soprattutto, aumentare la quota riservata al genere meno rappresentato da un terzo a due quinti degli organi di amministrazione e controllo.
Due mesi fa il comitato esecutivo dell’Abi ha approvato la Carta delle donne in banca, che mira a valorizzare la parità di trattamento e di opportunità tra i generi nel settore bancario, all’interno delle organizzazioni aziendali, riconoscendo la diversità di genere quale risorsa chiave per lo sviluppo, la crescita sostenibile e la creazione di valore in tutte le aziende. Il ruolo delle donne nel mondo bancario è in continua evoluzione, come è attestato dal continuo aumento del personale femminile, che rappresenta, ormai, quasi la metà dei dipendenti del settore finanziario (45,9%). Il dato complessivo, però, in parte inganna: nelle posizioni di vertice non si arriva al 25% nel settore pubblico e al 20% nel settore privato. Molto spesso le donne si occupano di risorse umane di segretariato o di gestione amministrativa, e quando hanno contatto diretto con la clientela, le loro responsabilità diminuiscono con l’aumentare del valore del cliente per l’istituto. Le ricerche mostrano che, in generale, la percentuale delle donne si riduce con l’aumentare del livello di qualificazione, prestigio e salario.
Il primo dicembre del 2019 si è insediata la nuova commissione europea. Per la prima volta nella storia dell’unione, l’organo è guidato da una donna. La tedesca Ursula von der Leyen è infatti stata eletta presidente della commissione europea, 14° persona a ricoprire tale incarico dal 1958 ad oggi. La commissione è sostenuta da un’alleanza di governo molto ampia, con numerosi partiti europei a sostegno della squadra. La genesi che ha portato alla nascita della commissione, con la percentuale più alta di donne mai registrata, non è stata però priva di insidie. Il primo dato politico sulla composizione della commissione europea riguarda la rappresentanza dei paesi. In seguito alla Brexit infatti, per la prima volta dal 1973, il Regno Unito non è rappresentato nella commissione europea. Il 14 novembre, a seguito del rinvio dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea e a causa del rifiuto del governo britannico di nominare un nuovo commissario prima delle elezioni del 12 dicembre, si è proceduto alla formalizzazione della squadra a sostegno di von der Leyen, senza la presenza di un politico britannico.
Dopo un estenuante vertice di tre giorni, tra i più lunghi della storia comunitaria, i Ventotto sono finalmente riusciti nella serata del 2 luglio a trovare un accordo sui prossimi vertici comunitari. Delle quattro cariche, due andranno ad esponenti femminili: la presidenza della Commissione europea alla democristiana tedesca Ursula von der Leyen e la presidenza della Banca centrale europea alla francese Christine Lagarde. L’intesa deve ora essere fatta propria dal Parlamento europeo. Non sarà facile. Oltre alle due signore appena citate, il quartetto prevede il Consiglio europeo al liberale belga Charles Michel e il ruolo di Alto Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza al socialista spagnolo Josep Borrell. L’intesa preliminare – giunta sulla scia di un vertice straordinario, iniziato addirittura domenica pomeriggio – è stata il risultato di un delicatissimo esercizio di acrobazia politica.
Tra i bancari le quote rosa sono il 46,2% e negli ultimi vent’anni sono cresciute di oltre il 15%. Poche però le donne che hanno incarichi di vertice. Il rinnovo del contratto dei bancari sembra aver imboccato la sua strada e la trattativa serrata dei prossimi giorni dirà se Abi e i sindacati (Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin) riusciranno a costruire un equilibrio sostenibile per tutti. Il presidente del Casl di Abi, Salvatore Poloni, spiega che le parti stanno «lavorando per cercare di avere il contratto entro la fine dell’anno. Tutte le trattative complesse hanno sempre un decollo complicato, gli argomenti sono tanti. Arriva il momento in cui si individuano i pilastri fondamentali, poi l’accelerazione viene spontanea. I tempi sono maturi per un’accelerazione».
Si chiama “Da donna a donna” ed è una piccola guida ai servizi del territorio per giovani donne pensato da giovani donne. L’opuscolo, presentato ieri mattina, è stato realizzato nell’ambito del progetto “Tratti di Donna”, progetto coordinato dall’associazione l’Aquilone di Iqbal. “Tratti di donna” ha spiegato l’assessore Francesca Lucchi «È un progetto che offre alle ragazze la possibilità di confrontarsi a tutto tondo sull’essere donna. La pubblicazione di questo opuscolo arriva alla conclusione del secondo anno di attività. La prima fase del progetto, avviato nel 2016, era stata caratterizzata dal ragionamento attorno agli stereotipi di genere e aveva portato alla realizzazione di tre video, mentre la seconda fase si era conclusa con l’iniziativa “Giù dai tacchi”». «Questo opuscolo è il frutto di un lavoro di meditazione sui problemi delle giovani donne – spiega Keltoum Kamal Idrissi, una delle ragazze del progetto – e nasce dalla volontà di provare ad offrire anche una soluzione a questi problemi».