Due mesi fa il comitato esecutivo dell’Abi ha approvato la Carta delle donne in banca, che mira a valorizzare la parità di trattamento e di opportunità tra i generi nel settore bancario, all’interno delle organizzazioni aziendali, riconoscendo la diversità di genere quale risorsa chiave per lo sviluppo, la crescita sostenibile e la creazione di valore in tutte le aziende. Il ruolo delle donne nel mondo bancario è in continua evoluzione, come è attestato dal continuo aumento del personale femminile, che rappresenta, ormai, quasi la metà dei dipendenti del settore finanziario (45,9%). Il dato complessivo, però, in parte inganna: nelle posizioni di vertice non si arriva al 25% nel settore pubblico e al 20% nel settore privato. Molto spesso le donne si occupano di risorse umane di segretariato o di gestione amministrativa, e quando hanno contatto diretto con la clientela, le loro responsabilità diminuiscono con l’aumentare del valore del cliente per l’istituto. Le ricerche mostrano che, in generale, la percentuale delle donne si riduce con l’aumentare del livello di qualificazione, prestigio e salario.
La consapevolezza della primaria importanza di diversità e inclusione sta crescendo in modo evidente nei luoghi di lavoro. L’assunto arriva da una recente ricerca condotta su scala internazionale da Lenovo (Cina, Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Brasile i Paesi coinvolti) secondo cui la tecnologia rappresenta oggi un fattore positivo nella diffusione e comprensione di queste tematiche, considerate dalla maggioranza del campione intervistato come un’opportunità per costruire una comunità (dentro e fuori l’organizzazione) e non più un risultato da ottenere.
Possiamo scegliere di preservare l’omogeneità e il conformismo apparentemente rassicuranti, oppure possiamo provare a percorrere la via della differenza e dell’unicità, dove l’incertezza diventa la nostra fedele e onesta compagna di vita. Se abbiamo il coraggio di strappare il velo di Maya – non è una dissertazione sul fenomeno e sul noumeno di Kant e di Schopenhauer – avremo anche l’occasione di leggere e percepire il sé in modo più funzionale rispetto alle relazioni che intrecceremo e all’ambiente in cui ci muoveremo.
Le parole della gender diversity negli studi legali sono tutte straniere e non è un caso: coaching, networking, agile work, empowerment. Strategie importate da oltreoceano dove le pratiche per il sostegno della presenza femminile nel mondo del lavoro sono largamente utilizzate. E non da ieri. Le iniziative adottate in alcuni studi, non tutti per la verità di matrice angloamericana, non parlano solo la lingua dell’inclusione. Ma anzi, spingono sugli avanzamenti di carriera, in alcuni casi creando vere e proprie “quote rosa” negli organici degli studi.
L’inclusione sociale delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali, si rivela sempre più un strumento di crescita per dipendenti e aziende. Un report dall’ultimo business forum dell’associazione Parks. Sono state 42 nel 2016 le aziende coinvolte dall’Lgbt diversity index, il primo strumento di benchmarking in Italia dedicato alle politiche e alle pratiche aziendali rivolte ai dipendenti Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali). Lo strumento, ideato e realizzato dall’associazione Parks Liberi e Uguali, si è basato quest’anno su una ricerca in cinque aree di indagine: politiche di non discriminazione, benefit e permessi, persone transessuali e transgender, competenze organizzative, impegno verso l’esterno.
Sempre più le grandi aziende sono interessate a promuovere programmi e azioni per garantire un posto di lavoro aperto e tollerante delle differenze. Così si genera inclusione e cresce l’engagement. Ma cosa rende queste iniziative davvero efficaci?
Rispondiamo a questa domanda portando l’esperienza di una grande multinazionale: Vodafone. Lo facciamo attraverso il racconto di Francesco Bianco, Regional HR Director in Europe del gruppo. Nel 2016 il Financial Times lo ha annoverato tra i “Top 50 LGBT Allies”, quale riconoscimento del lavoro svolto da Vodafone sull’inclusione e l’engagement di persone LGBT.
Un migliore clima aziendale. Per il 95% delle aziende è questa la principale leva all’adozione di politiche di Diversity & Inclusion. La seconda esigenza da soddisfare è invece la promozione della diversità in tutti i livelli gerarchici (84%). A seguire si trovano la possibilità di sfruttare differenze di pensiero nei processi decisionali e la diminuzione dei costi associati al turnover. Obiettivi dichiarati rispettivamente dal 71 e dal 61% delle imprese. A dirlo sono i dati di un’indagine condotta da Istud Business School e Wise Growth cheha coinvolto 55 aziende, tutte di grandi dimensioni (in media con 7.400 dipendenti) e di diversi settori industriali. Il 70% del campione è rappresentato da subsidiary di multinazionali straniere.
Aumento dei ricavi fino al 16,7% in più per i brand che investono in Diversity&Inclusion. Il Diversity Brand Summit premia Coca-Cola come azienda più inclusiva per il mercato. Nella Top 5 anche American Express, Google, TIM e Vodafone. Riconoscimento assegnato oggi a Milano durante il Diversity Brand Summit, primo evento europeo che mette in relazione diversity e business, ideato dall’associazione Diversity e dalla società di consulenza Focus Management. La diversity è una risorsa preziosa e irrinunciabile che genera valore a livello sociale e aziendale con un aumento dei ricavi fino al +16,7% per tutte quelle aziende che vengono percepite da consumatrici e consumatori come maggiormente inclusive.
Il Diversity Management, ossia la gestione e valorizzazione delle diversità negli ambienti di lavoro, ha ormai trent’anni. Nato negli Stati Uniti e poi diffusosi nel mondo grazie anche alla presenza locale delle multinazionali, ha raggiunto in Europa tassi di adozione importanti; già nel 2005 il 48% delle imprese dichiarava di applicare politiche a tutela di determinate fasce di collaboratori. Percentuali in ulteriore crescita anche grazie alle direttive dell’Unione europea (UE) a tutela della parità di trattamento sul luogo di lavoro. La recente tavola rotonda tenutasi in Bocconi dal titolo “Il meglio della diversità: pratiche e performance” è stata l’occasione per fare il punto sullo stato di adozione del Diversity Management in Italia.
L’Italia è uno dei paesi in cui le donne partecipano meno allo sviluppo di innovazioni. Si tratta di uno spreco di capitale creativo. Dall’istruzione all’impresa, la promozione delle pari opportunità potrebbe dare benefici anche alla politica industriale. L’Italia è uno dei paesi in cui le donne partecipano meno allo sviluppo di innovazioni. Si tratta di uno spreco di capitale creativo. Dall’istruzione all’impresa, la promozione delle pari opportunità potrebbe dare benefici anche alla politica industriale. La recente rivalutazione della politica industriale passa attraverso il ruolo fondamentale dell’innovazione. Attraverso il ricorso a politiche pubbliche cosiddette mission-oriented innovation, la politica è in grado di catalizzare le capacità più innovative del sistema economico per risolvere rilevanti problemi sociali e, al contempo, riavviare la crescita.