Attraverso i contributi di attiviste/i ed esperte/i di genere questa pubblicazione traccia una mappa complessa delle molestie sessuali in Europa con un focus sull’hashtag #MeToo e sulla relativa campagna attivatasi sui social media, in particolare Twitter, come strumento per comprendere i cambiamenti raggiunti e quelli ancora necessari negli stati Ue per eliminare sessismo e violenza di genere, evidenziando rischi e potenzialità dei nuovi media, e mettendo in luce la forza dei movimenti dal basso nel dare forma alla trasformazione sociale. La raccolta nasce da un progetto di ricerca intitolato “Minerva Project on Gender, Equality and Diversity” voluto dalla Foundation for European Progressive Studies (FEPS) e realizzato in partnership con MinervaLab Sapienza e Fondazione Socialismo, con il supporto del Parlamento europeo. Marcella Corsi e Giulia Zacchia ne anticipavano i contenuti in un articolo comparso su inGenere nel 2018.
Il primo dicembre del 2019 si è insediata la nuova commissione europea. Per la prima volta nella storia dell’unione, l’organo è guidato da una donna. La tedesca Ursula von der Leyen è infatti stata eletta presidente della commissione europea, 14° persona a ricoprire tale incarico dal 1958 ad oggi. La commissione è sostenuta da un’alleanza di governo molto ampia, con numerosi partiti europei a sostegno della squadra. La genesi che ha portato alla nascita della commissione, con la percentuale più alta di donne mai registrata, non è stata però priva di insidie. Il primo dato politico sulla composizione della commissione europea riguarda la rappresentanza dei paesi. In seguito alla Brexit infatti, per la prima volta dal 1973, il Regno Unito non è rappresentato nella commissione europea. Il 14 novembre, a seguito del rinvio dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea e a causa del rifiuto del governo britannico di nominare un nuovo commissario prima delle elezioni del 12 dicembre, si è proceduto alla formalizzazione della squadra a sostegno di von der Leyen, senza la presenza di un politico britannico.
Come lo scorso anno, la Legge di Bilancio 2020 non ha introdotto nessuna novità sostanziale in materia di welfare aziendale. Dopo le importanti riforme previste dalle Manovre 2016, 2017 e 2018, l’interesse del Legistatore per questa materia sembra essersi dunque affievolito. La Manovra 2020, infatti, oltre alcuni interventi che riguardano il trattamento fiscale dei buoni pasto e auto aziendali, non ha toccato l’impianto su cui si basa l’attuale normativa. Come dobbiamo interpretare questa scelta? Nonostante l’attuale Governo non abbia previsto nessun intervento diretto in materia di welfare occupazionale, vi sono state alcune piccole revisioni riguardanti l’articolo 51 del Tuir, la normativa che – in linea di massima – definisce la composizione del reddito da lavoro dipendente e il suo trattamento fiscale. In particolare, a subire alcune variazioni sarà l’uso dei cosiddetti buoni pasto aziendali e delle auto ad uso promiscuo.
Dopo un estenuante vertice di tre giorni, tra i più lunghi della storia comunitaria, i Ventotto sono finalmente riusciti nella serata del 2 luglio a trovare un accordo sui prossimi vertici comunitari. Delle quattro cariche, due andranno ad esponenti femminili: la presidenza della Commissione europea alla democristiana tedesca Ursula von der Leyen e la presidenza della Banca centrale europea alla francese Christine Lagarde. L’intesa deve ora essere fatta propria dal Parlamento europeo. Non sarà facile. Oltre alle due signore appena citate, il quartetto prevede il Consiglio europeo al liberale belga Charles Michel e il ruolo di Alto Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza al socialista spagnolo Josep Borrell. L’intesa preliminare – giunta sulla scia di un vertice straordinario, iniziato addirittura domenica pomeriggio – è stata il risultato di un delicatissimo esercizio di acrobazia politica.
Da ormai un decennio, Regione Lombardia promuove un modello di governance pubblico privato che regola diverse iniziative di conciliazione vita lavoro sui propri territori e che negli anni è diventato un modello anche per altre Regioni italiane. Attraverso fondi regionali ripartiti tra le Ats (Agenzia di tuela della Salute), diverse Alleanze – costituite da soggetti pubblici, privati, non profit, associazioni datoriali e sindacati – sviluppano sul territorio progetti che hanno l’obiettivo di favorire la gestione dei tempi e gli oneri di cura delle persone. Negli anni sono stati raggiunti numerosissimi beneficiari, nelle aziende private e sui territori, attraverso iniziative di welfare aziendale, flessibilità oraria, erogazione di servizi dopo scuola, campus estivi, iniziative a sostegno dell’autoimprenditorialità e molto altro.
Le donne soffrono di depressione da 2 a 3 volte più degli uomini, ma meno di malattie cardiovascolari (3,5 vs 4,9%) che però rappresentano la loro prima causa di morte. Uomini e donne sono diversi, anche per quanto riguarda la salute. Una conferma arriva dal Libro bianco «Dalla Medicina di genere alla Medicina di precisione», realizzato da Fondazione Onda grazie al supporto di Farmindustria e presentato a Roma. Le donne soffrono di depressione da 2 a 3 volte più degli uomini, non solo per fattori biologici, quali il ciclo ormonale e l’effetto degli estrogeni, ma anche sociali, come il multitasking (e il conseguente stress) e la violenza di genere. Al contrario, le malattie cardiovascolari, considerate quasi esclusivamente appannaggio del sesso maschile, che in effetti ne è più colpito rispetto alle donne (4,9 vs 3,5%), rappresentano la prima causa di morte delle donne (48 vs 38 per gli uomini). Alla base, c’è innanzitutto un impatto maggiore di alcuni fattori di rischio, quali fumo e diabete che ne causa una prognosi peggiore. Seppur le donne fumino in media meno degli uomini (14,9 vs 24,8%), a loro basta fumare un terzo delle sigarette dell’uomo per avere lo stesso rischio cardiovascolare; inoltre, la donna con diabete ha un rischio cardiovascolare superiore del 44% rispetto all’uomo con pari compenso glicemico.
Il tema dei divari di genere, dell’occupazione femminile e della natalità sono tornati a essere preminenti nel dibattito pubblico. E mentre in televisione – tra affermazioni, smentite e rettifiche – si discute ancora se le donne debbano “stare a casa” oppure no, il Parlamento esamina in questi giorni i provvedimenti per le famiglie contenuti nella legge di bilancio 2020. Il governo, a sua volta, ha dichiarato a più riprese la volontà di varare misure che favoriscano la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Ultimo in ordine di tempo, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha sostenuto che la legge di bilancio conterrà la gratuità degli asili nido per la “maggioranza delle famiglie italiane”, un provvedimento “importante anche dal punto di vista del sostegno all’occupazione femminile”.
Flessibilità questa sconosciuta. Il mito del professionista incollato alla scrivania dello studio legale è duro a morire. E per le donne, insieme a fattori di natura culturale e a un’arretratezza generale dei servizi di cura, è uno dei tanti macigni frapposti tra il primo incarico da tirocinanti e la nomina a managing partner. È su questo fronte che sei tra le avvocate al top nelle law firm più importanti d’Italia interpellate dal Sole 24 Ore sono praticamente unanimi: per Giulietta Bergamaschi (Lexellent), Roberta Crivellaro (WhitersWorldWide), Barbara de Muro (Lca e AslaWomen), Laura Orlando (Herbert Smith Freehills), Claudia Parzani (Linklaters e Allianz Spa), Stefania Radoccia (Ey), scalare i gradini della carriera non è facile in generale, ma per le donne è ancora una partita giocata ad armi impari. Pesano, più di ogni altra cosa, i tempi di conciliazione con la vita privata, i carichi familiari, l’idea di una scarsa (o pressoché nulla) condivisione dei lavori di cura.
Conciliare vita familiare e lavorativa è un diritto e il datore di lavoro ha il dovere di garantirlo. Per la sua violazione l’Ispettorato del lavoro di Firenze è stato condannato con una sentenza da considerarsi un unicum nella materia delle pari opportunità, perchè riconosce la conciliazione vita-lavoro un vero e proprio diritto soggettivo. Una sentenza che è anche antesignana rispetto all’obbligo imposto dalla recentissima Direttiva europea che introduce l’equilibrio fra attività professionale e vita familiare, imponendo a tutti gli Stati membri di adeguarvisi entro il 2020.
Erogazione apripista a fondo perduto per semplificare la vita di ogni businesswoman in casa e in azienda. È una misura senza precedenti nel panorama camerale italiano quella messa in pista dalla Cdc di Bologna: un finanziamento di un milione di euro alle imprenditrici che diventeranno mamme nel 2020, con erogazioni a fondo perduto fino a 12.500 euro per semplificare la vita di ogni businesswoman in casa e in azienda. «Gestire un’impresa richiede un impegno costante, ogni giorno a qualsiasi ora. Farlo con un neonato è una avventura tanto bella quanto impegnativa. Il nostro obiettivo è riconoscere e valorizzare le imprenditrici, non farle sentire sole, fornire loro un aiuto concreto: un milione di euro per rendere la loro vita più facile», spiega Valerio Veronesi, presidente della Camera di commercio di Bologna.