Le donne nelle professioni legali sono in aumento ma nelle posizioni di vertice fanno fatica ad affermarsi. Perché? Le donne nelle posizioni al vertice sono ancora pochissime, e questa situazione è ben presente negli studi professionali. Gli ambienti lavorativi portano ancora l’impronta maschile. La cultura del nostro Paese e i supporti collaterali che una donna può avere nella formazione di una famiglia sono ancora deboli, non agevolando così il percorso di carriera. Le posizioni apicali delle aziende non sono quindi appannaggio delle donne. Ey in tal senso è all’avanguardia: assumiamo circa 1.200 persone all’anno, tra i junior gli inserimenti sono bilanciati tra uomini e donne. All’interno dello studio legale tributario di Ey, ad esempio, i team Labour, China Desk e Infrastrutture sono composti per l’80% da donne. A dimostrazione dell’attenzione di Ey a questo tema.
Si è parlato tanto negli ultimi tempi di smart working e di lavoro agile. Si è parlato di aziende che hanno deciso di introdurre questa nuova modalità lavorativa all’interno della propria realtà aziendale e che hanno evidenziato i grandi benefici ottenuti: aumento della produttività, efficienza ed efficacia, grazie ad una maggiore fidelizzazione del proprio dipendente. La lavoratrice o il lavoratore, grazie all’adozione di forme di lavoro agile, si sente posto al centro e valorizzato non solo a livello prettamente remunerativo (aspetto certamente importante e degno di pregio) ma come persona. Questo perchè le sue esigenze diventano scelte condivise dall’azienda che le vive come necessità primaria da soddisfare per la crescita.
L’Ufficio della Consigliera di parità regionale, in collaborazione con PoliS-Lombardia, propone due giornate di formazione sulla figura del “Diversity Manager” rivolto ai responsabili della gestione del personale in ambito aziendale e il personale Human Resource. Il corso si inserisce tra le diverse iniziative formative, promosse dalla Consigliera di parità regionale, volte a prevenire e contrastare le molestie e le vessazioni in ambito lavorativo. L’obiettivo è fornire strumenti per conoscere, identificare e definire le caratteristiche professionali, le responsabilità e la collocazione strategica della figura del “Diversity Manager” e acquisire buone pratiche d’azione da implementare nei propri contesti di intervento.
L’indice, pensato per orientare gli investitori che guardano con interesse alle aziende impegnate nella promozione di diversità, inclusione e nello sviluppo delle persone, valuta ogni anno oltre 7.000 società quotate in borsa nel mondo e anche nel 2019 indica il Gruppo tra le realtà di eccellenza. Migliorando ancora il proprio posizionamento assoluto rispetto al 2018, Hera si conferma prima multiutility al mondo. Il Gruppo Hera si conferma tra le aziende più interessanti, in Italia e nel mondo, per gli investitori che guardano con favore alle realtà impegnate nella tutela della diversità e dell’inclusione. Il risultato è stato decretato dall’edizione 2019 del “Diversity & Inclusion Index”, che ha preso in esame un campione composto da oltre 7.000 aziende quotate a livello globale. In questo ranking internazionale, Hera, con un punteggio di 75 punti, è risultata la terza azienda in Italia e la 14esima al mondo, migliorando ulteriormente la propria posizione (era 22esima nel 2018). Si conferma inoltre la prima multiutility a livello globale nella classifica.
Promuovere le diversità, Chiesi Group premiato dal Financial Times (La Repubblica, 21 novembre 2019)
Chiesi Farmaceutici, gruppo farmaceutico internazionale, ha ricevuto Diversity Leaders Award 2020 rientrando tra le prime 70 aziende europee (68a posizione) su un campione di 700 prese in esame. Tra le 300 aziende italiane esaminate nell’indagine, il Gruppo si è posizionato primo sulle 8 rientrate nel ranking. Lo ha reso noto il Financial Times, promotore del premio. L’obiettivo del riconoscimento è identificare e valorizzare le aziende leader in termini di politiche e azioni volte a sensibilizzare sul concetto di Diversità come valore imprescindibile.
A ognuno la sua valigetta. Giulia Airaghi, per esempio, ha sempre con sé quella dei Lego. Ce lo aspetteremmo facilmente se facesse la maestra d’asilo. E invece no, fa la consulente in Boston consulting group, dove si occupa, in particolare, dell’implementazione della metodologia Agile che contempla un nuovo modo di lavorare, «focalizzato, innanzitutto sui risultati e su ruoli molto chiari. Qualche esempio. Il product owner che rappresenta il consumatore e prende decisioni sul prodotto, l’agile coach o scrum master che facilita il processo agile e infine il development team che si autoorganizza per completare il lavoro», dice. È con la sua valigetta di Lego che Airaghi prova a trasferire a 40 middle manager di Valore D il senso della metodologia Agile, nell’ambito di una masterclass della digital academy che è stata realizzata con Boston consulting group, creando team per la costruzione di modellini in scala di versi oggetti.
La legge Golfo-Mosca, nel 2011, introdusse le quote di genere, prevedendo l’obbligo che almeno un terzo dei consiglieri di amministrazione e dei sindaci delle società quotate appartenessero al genere meno rappresentato (leggi, ovviamente, donne). La legge aveva una “data di scadenza” (le chiamano “sunset clauses”): originariamente l’obbligo avrebbe dovuto sussistere solo per tre mandati, ossia, essenzialmente, nove anni. L’idea era che ciò fosse sufficiente per infrangere il “soffitto di vetro”, radicare una cultura più aperta e inclusiva e consentire lo sviluppo e la valorizzazione di adeguate professionalità. Dopo quel termine, ossia a partire all’incirca dal 2020, si riteneva che l’autodisciplina e le buone prassi sarebbero state sufficienti. Nella legge di bilancio 2020, tuttavia, il legislatore ha voluto estendere l’obbligo per ben sei ulteriori mandati (potenzialmente, 18 anni) e, soprattutto, aumentare la quota riservata al genere meno rappresentato da un terzo a due quinti degli organi di amministrazione e controllo.
Due mesi fa il comitato esecutivo dell’Abi ha approvato la Carta delle donne in banca, che mira a valorizzare la parità di trattamento e di opportunità tra i generi nel settore bancario, all’interno delle organizzazioni aziendali, riconoscendo la diversità di genere quale risorsa chiave per lo sviluppo, la crescita sostenibile e la creazione di valore in tutte le aziende. Il ruolo delle donne nel mondo bancario è in continua evoluzione, come è attestato dal continuo aumento del personale femminile, che rappresenta, ormai, quasi la metà dei dipendenti del settore finanziario (45,9%). Il dato complessivo, però, in parte inganna: nelle posizioni di vertice non si arriva al 25% nel settore pubblico e al 20% nel settore privato. Molto spesso le donne si occupano di risorse umane di segretariato o di gestione amministrativa, e quando hanno contatto diretto con la clientela, le loro responsabilità diminuiscono con l’aumentare del valore del cliente per l’istituto. Le ricerche mostrano che, in generale, la percentuale delle donne si riduce con l’aumentare del livello di qualificazione, prestigio e salario.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Ispettorato nazionale del lavoro, oltre 30mila madri lavoratrici hanno lasciato il lavoro nell’ultimo anno, spesso in modo definitivo. Di queste, la metà dichiara di averlo fatto per ragioni riconducibili all’incompatibilità tra il lavoro e la cura dei figli, quali gli elevati costi di cura, il mancato posto all’asilo nido, l’assenza di familiari di supporto. Per più di una donna su tre la decisione è stata determinata dalla mancanza di flessibilità degli orari e delle condizioni di lavoro. La flessibilità è una delle principali richieste delle madri lavoratrici. Non è una novità: dalle madri lavoratrici viene spesso la richiesta di part-time. Non sempre però il part-time è possibile e non sempre è la soluzione ideale, poiché implica minore salario e minori possibilità di carriera. Questi rischi sono noti, eppure la domanda di flessibilità resta elevata.
Alle donne non si crede mai. Nella maggior parte dei casi, l’uomo violento appare affabile, integrato, una persona “tranquilla”, chi può credere che all’interno della sua famiglia possa agire violenze tanto acute? E, nel caso la cosa sia indubitabile, di certo saranno stati i comportamenti della sua compagna a rendere inevitabile il ricorso alla violenza. I reati di maltrattamento in famiglia sono complessi, avvengono nella sfera delle relazioni affettive e spesso sono caratterizzati da un’iniziale mancanza di disponibilità della donna di procedere contro il partner o l’ex partner, per una serie di dinamiche proprie del ciclo della violenza, come la dispercezione del sé che deriva dai maltrattamenti. Nelle aule dei tribunali, dove mi sono ritrovata a testimoniare in favore delle donne, inizialmente mi stupiva l’atteggiamento di molte, che non erano animate da sentimenti di rancore nei confronti del loro carnefice, ma dal desiderio di ricostruirsi un’esistenza libera.