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Gender Community

Solo metà delle madri laureate lavora full time (Il Sole 24 Ore, 15 giugno 2019)

By Occupazione femminile e condizioni di lavoro

“Oggi la donna è indipendente, lavora, e per questo non fa più figli”. Falso, oltre che offensivo. Una nota di Istat resa nota in questi giorni mostra che in dieci anni la quota di coppie (con o senza figli, dove lei ha fra i 25 e i 64 anni) dove entrambe le persone lavorano è passata dal 40% al 44% del totale. Una crescita insignificante, addirittura nulla al sud, dove il 26% delle donne in coppia ha un lavoro, anche se non è detto che questo basti comunque per essere indipendente. Non che altrove le cose vadano molto meglio: oggi è occupato il 55% delle donne in coppia al nord e il 50% di quelle che vivono nel centro Italia. L’incidenza e? ancora piu? bassa in quelle, specie nel Mezzogiorno, in cui la donna ha conseguito un titolo di studio basso e nelle coppie con due o piu? figli.

 

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XI Commissione (Lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati Audizione informale di rappresentanti del CNEL – “Modifiche all’art. 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna”

By Occupazione femminile e condizioni di lavoro

È noto come le donne, in Italia, siano più numerose degli uomini e abbiano una aspettativa di vita più lunga: 85,3 anni di speranza di vita alla nascita, contro gli 81 anni per gli uomini (ISTAT, dato di febbraio 2020). È parimenti noto come, malgrado i grandi progressi che hanno affrancato le donne da condizioni di vita ormai lontane, in materia di lavoro e di partecipazione alla vita produttiva, esista ancora, rispetto agli uomini, una disuguaglianza che è misurabile sul piano quantitativo, e che investe variabili culturali che richiedono interventi mirati dall’effetto dispiegabile sul medio e lungo periodo.Il problema non è solo italiano, poiché la disuguaglianza di genere esiste e persiste sul mercato globale del lavoro, dove i progressi fatti dalle donne negli ultimi decenni in termini di istruzione e formazione non si sono tradotti in altrettanto notevoli miglioramenti sul mercato del lavoro.

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Data scientist, solo il 15% è donna: così l’AI è a rischio pregiudizi (di Patrizia Licata, corrierecomunicazioni.it, 05 marzo 2020)

By Gestione e valorizzazione della risorsa femminile in azienda

ll data scientist non è un lavoro per donne. Poco pratico, adatto ai nerd dei computer, estremamente competitivo. Lo dicono le donne stesse: 81 su 100 definiscono questa professione come troppo competitiva e il 48% la ritiene di scarso impatto sulla società. Non stupisce che su 55 ragazze iscritte all’università, 35 sceglie un indirizzo scientifico-informatico (materie Stem), 25 lavora effettivamente nel settore scientifico attinente al titolo di laurea, e solo 15 diventa una data scientist. È quanto emerge dal nuovo studio di Boston Consuting Group (Bcg). “What’s Keeping Women Out of Data Science” realizzato su un campione di 9.000 studenti e neo-laureati, under-35, di 10 paesi (Australia, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Giappone, Spagna, Stati Uniti, Regno Unito).

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Il welfare aziendale nel mondo dell’imprenditoria sociale: il caso del Gruppo COLSER-Auroradomus (di Valentino Santoni, Percorsi di Secondo Welfare, 30 gennaio 2020)

By Welfare aziendale e conciliazione

Come spesso vi abbiamo raccontato, il mondo della cooperazione e, più in generale, quello dell’imprenditoria sociale sembra aprirsi sempre di più al welfare aziendale. Sono infatti molte le cooperative che, allo scopo di investire in politiche innovative per i propri collaboratori, decidono di avviare progetti complessi, talvolta aperti anche al territorio. Come alcuni hanno sottolineato – ad esempio Franca Maino, Valentino Santoni e Elena Barazzetta nel volume “Pubblico, territoriale, aziendale. Il welfare del gruppo cooperativo CGM” oppure Pavolini in “Welfare aziendale e conciliazione. Proposte e esperienze dal mondo cooperativo” – vi sarebbero alcune qualità di questi soggetti che facilitano la sperimentazione di misure di welfare rivolte a soci e lavoratori.

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In Italia 1 lavoratore dipendente su 3 è un caregiver: il welfare aziendale può essere una risorsa? (di Valentino Santoni, Percorsi di Secondo Welfare, 31 gennaio 2020)

By Welfare aziendale e conciliazione

Come recentemente emerso da un’indagine realizzata dall’Istat sui temi della conciliazione vita-lavoro (di cui vi abbiamo parlato qui), quasi 13 milioni di nostri connazionali tra i 18 e i 64 anni devono gestire responsabilità di cura legate ai bisogni di familiari non autosufficienti e alla dimensione della genitorialità. I cambiamenti del contesto socio-demografico del nostro Paese stanno producendo un impatto rilevante sui bisogni sociali degli italiani e su tutte le questioni ad essi connesse. Ciò è evidente in modo particolare se si osserva da vicino la condizione dei lavoratori italiani, i quali – oltre alle esigenze legate al lavoro – si trovano spesso schiacciati tra i carichi di cura connessi ai propri figli e quelli riguardanti i familiari anziani.

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Conciliazione tra lavoro e famiglia (Istat, 2018)

By Maternità e Paternità

L’Istat presenta i principali risultati di un approfondimento tematico sulla Conciliazione tra lavoro e famiglia, realizzato sulla base dei dati del modulo ad hoc europeo “Reconciliation between work and family life” inserito nella Rilevazione sulle forze di Lavoro nel 2018. Nel 2018, sono complessivamente 12 milioni 746 mila le persone tra i 18 e i 64 anni (34,6%) che si prendono cura dei figli minori di 15 anni o di parenti malati, disabili o anziani. Tra gli occupati, quasi il 40% dei 18-64enni svolge attività di cura. Essere impegnati in un’attività lavorativa e allo stesso tempo doversi occupare di figli piccoli o parenti non autosufficienti comporta una modulazione dei tempi da dedicare al lavoro e alla famiglia che può riflettersi sulla partecipazione degli individui al mercato del lavoro, soprattutto delle donne, le quali hanno un maggiore carico di tali responsabilità.

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Divari di genere: la trasparenza aiuta a limitarli? (Alessandra Casarico e Salvatore Lattanzio, lavoce.info, 7 febbraio 2020)

By Occupazione femminile e condizioni di lavoro

Ridurre i divari di genere nel mercato del lavoro rimane un compito prioritario, ma difficile da realizzare. È della scorsa settimana la risoluzione del Parlamento europeo sul gender pay gap, che invita gli stati membri ad adottare politiche più decise per contrastare il fenomeno. Intanto, è in corso nel nostro Parlamento un dibattito su diverse proposte di legge di modifica del Codice delle pari opportunità (decreto legislativo 198 del 2006) per rendere più vincolanti per le imprese gli obblighi di comunicazione dei dati sulle retribuzioni e sugli occupati uomini e donne. In particolare, la discussione verte su tre elementi chiave: la soglia in termini di dimensione dell’impresa a cui applicare quegli obblighi; il tipo di informazioni richieste alle imprese e i destinatari della loro raccolta; la previsione di sanzioni per le aziende che non ottemperino all’obbligo di presentazione dei dati.

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Professioni, in Italia le donne guadagnano il 45% in meno (di Flavia Landolfi, Il Sole 24 Ore, 24 gennaio 2020)

By Occupazione femminile e condizioni di lavoro

Una professionista calabrese percepisce una retribuzione che in media vale un quinto di quella di un collega lombardo: 13mila euro contro 64mila, per la precisione. Il corto circuito del divario retributivo tra donne e uomini nel mondo delle professioni è fenomeno tristemente diffuso e generalizzato. Non c’è zona d’Italia che ne sia immune visto che nella Ue è largamente applicato. Ma nel Mezzogiorno assume connotazioni drammatiche, con una sperequazione che viaggia su un gap dell’80 per cento. Su una media nazionale, invece per una professionista il reddito a fine mese è più leggero del 45 per cento di quello che percepisce un suo collega. Magari proprio il partner, con tutto quello che ne consegue in termini di scelte dettate, per esempio, dalla nascita del primo figlio. E da chi dei due resterà a casa.

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