Nei giorni immediatamente seguenti l’avvio della fase di lockdown e in una situazione di grandissima incertezza su che cosa sarebbe successo nelle settimane successive, Percorsi di secondo welfare si è interrogato sul ruolo sociale delle organizzazioni nei momenti difficili, avviando una “Open call for good practices” rivolta ad aziende, associazioni datoriali, organizzazioni sindacali, enti del Terzo Settore e amministrazioni pubbliche impegnate a fornire strumenti di welfare straordinari per i loro collaboratori e per le loro comunità per fronteggiare l’emergenza. La prima parte del questionario ha provato a comprendere l’impatto della pandemia sull’andamento delle attività del sistema produttivo, la seconda e la terza a individuare – rispettivamente – le principali misure di welfare aziendale e di responsabilità sociale d’impresa (RSI) realizzate nella fase di emergenza, e la quarta a raccogliere spunti sulle prospettive aspettando la “fase 2” e guardando al futuro.
La crisi pandemica ha esacerbato due fragilità del nostro paese. In primo luogo, è diventato ancora più evidente quanto la disuguaglianza di genere sia un fenomeno radicato: in Italia, le donne faticano a conciliare vita privata e professionale a causa della mancanza di misure di sostegno alla famiglia (asili nido e doposcuola), tanto che, come mostra il grafico 1, il 38 per cento di loro si appoggia a familiari e amici. D’altra parte, una potenziale soluzione alla problematica – il welfare aziendale – non è sviluppato appieno dalle imprese.
Post 2014, anno europeo dedicato al work-life balance (ne abbiamo parlato qui), l’Europa e gli stati membri hanno cominciato a dare vita a progetti di riforma, operando un generale investimento sul piano economico-sociale in una prospettiva di maggiore integrazione di genere nel mercato del lavoro. In quest’ottica lo scorso aprile la Commissione UE ha approvato una direttiva proprio per rafforzare le politiche di conciliazione vita-lavoro e, in particolare, i congedi e le azioni legate alla flessibilità lavorativa.
Tuttavia, nonostante gli sforzi e una diffusa ripresa economica, il gender gap a livello di work-life balance è ancora importante, piuttosto precario e sbilanciato a discapito della componente femminile. Ciò, come spesso sottolineato, è in parte dovuto alla persistenza di stereotipi di genere e al difficile superamento del modello del “male-breadwinner”.
Ci eravamo un po’ illusi: dopo la scalata all’inizio dell’anno di Christine Lagarde approdata alla guida della Bce orfana di Mario Draghi, pensavamo che anche i vertici delle banche italiane cominciassero ad adeguarsi dando molto più spazio alle donne manager come sta succedendo in altri Paesi (è il caso della stessa Russia dove governatrice della Banca centrale è Elvira Nabiullina). Ma, per il momento, la “valanga rosa” non c’è ancora stata perché, secondo gli ultimi rilevamenti del sindacato dei lavoratori del credito Uil, su 330 banche il “top management” femminile raggiunge solo “quota 28”, appena il 4,2% di tutte le posizioni di comando, 660 in tutto. Una evidente sproporzione, tenendo pure conto che, complessivamente, la forza-lavoro femminile nel mondo bancario italiano si è moltiplicata negli ultimi vent’anni arrivando quasi a pareggiare il numero degli uomini.
Nel corso delle ultime settimane la notizia che Airbnb ha licenziato circa 1.900 dipendenti (pari al 25% della forza lavoro dell’azienda) a causa delle conseguenze del Coronavirus e del lockdown ha fatto il giro del mondo. In pochi hanno però parlato delle misure che il colosso di internet ha scelto di realizzare per supportare i propri ex collaboratori, soprattutto sul piano del reinserimento lavorativo.
Qualche giorno fa, nel corso di un evento in diritta streaming, il provider Easy Welfare Edenred ha divulgato i dati riguardanti l’andamento delle scelte di imprese e lavoratori in materia di welfare aziendale per l’anno 2019. Grazie a queste stime – che fanno riferimento ad un campione di circa 1.700 imprese – è possibile analizzare come siano cambiati i comportamenti e i bisogni dei dipendenti, specialmente in base all’età, al genere e all’importo destinato ai servizi di welfare.
La violenza di genere e il degrado ambientale sono tra le sfide più urgenti su scala mondiale, ma solo di rado vengono analizzati in modo interdipendente. Come ha chiarito un recente report della Iucn (International Union for Conservation of Nature), i due fenomeni sono strettamente collegati perché la violenza di genere è spesso usata come forma di controllo socio-economico per mantenere e promuovere dinamiche diseguali di potere, anche in relazione alla proprietà, all’accesso e all’uso delle risorse naturali. Il potenziale di violenza legato al possesso delle risorse naturali, spiegano gli autori, è aumentato anche a fronte delle attuali minacce ambientali, soprattutto per il cambiamento climatico. Si tratta di uno stress particolarmente intenso, perché colpisce i mezzi di sussistenza di soggetti già fragili, il cui livello di resilienza inevitabilmente diminuisce. In molti Paesi, le leggi impediscono alle donne di possedere, gestire ed ereditare proprietà e terreni.
Il Gender Gap si batte a partire dagli appalti (di Viola Giannoli, La Repubblica, 20 settembre 2020)
Più parità di genere hai, più punti guadagni per aggiudicarti la gara d’appalto. Non sarà a colpi di bandi che si risolverà il gender gap, ma c’è un fronte tutto da esplorare che viene sperimentato per la prima volta in Italia, scesa quest’anno al 76esimo posto nel mondo per divario di genere secondo il “Global gender gap report” del World economic forum. Uno scarto che, senza interventi normativi, sarebbe sanabile solo nell’arco di 70 anni, stando alle stime del Cnel.
Torna Gender Bender dal 7 al 18 settembre 2020 a Bologna, la 18° edizione del Festival internazionale che presenta al pubblico italiano gli immaginari prodotti dalla cultura contemporanea legati alle nuove rappresentazioni del corpo, delle identità di genere e di orientamento sessuale. Come gli scorsi anni, il programma è ricco di appuntamenti: danza, cinema, laboratori, incontri.