“Le diversità sul posto di lavoro fanno riferimento alla varietà di differenze tra le persone all’interno di un’organizzazione, tra le quali genere, età, etnia, disabilità, orientamento sessuale, caratteristiche di personalità, stili cognitivi, istruzione, background ecc. In questo quadro, il diversity management si delinea come un’insieme di pratiche aziendali, finalizzate alla valorizzazione e al rispetto di tutte le diversità presenti nel contesto organizzativo, in grado di creare un clima aperto e inclusivo, nonché e una cultura in cui i lavoratori sono promossi per i loro meriti e le opportunità di crescita e di successo sono a disposizione di tutti.”
Alcuni lettori segnalano pressioni dalle loro aziende perché rinuncino al premio di produttività in busta paga e lo destinino al cosiddetto welfare aziendale. Si chiama così un coacervo di beni e servizi (buoni pasto, sanità integrativa, trasporti casa-lavoro ecc.) che dovrebbero appunto accrescere il benessere del lavoratore. In realtà esso degenera nel caso migliore in una forma di elusione fiscale, affogata in rapporti concertativi fra sindacati e aziende, e comunque non è affatto conveniente come raccontano.
Osservatorio Welfare: i dipendenti italiani preferiscono i premi di produttività in denaro ed esercitano poco l’opzione di conversione in servizi di welfare aziendale.
I dipendenti italiani preferiscono non trasformare i premi di risultato (salario di produttività) in prestazioni di welfare aziendale: l’opzione prevista in Legge di Bilancio incentiva la conversione in benefit dei premi in denaro, ma solo il 19% dei lavoratori ha finora deciso di rinunciare ad una busta paga più pesante. C’è giusto un 10% che chiede la liquidazione della somma in busta paga. Tutti gli altri (il 71%) non fanno nulla, che in pratica significa rinunciare ai flexible benefit. I dati sono forniti dall’Osservatorio di Easy Welfare, in base alle scelte effettuate dai dipendenti delle aziende che utilizzano la sua piattaforma online.
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Con i salari bloccati e la “fame” di reddito, operai e lavoratori manuali preferiscono qualche soldo in più in busta paga rispetto ai servizi integrativi. Così il welfare aziendale rischia però di aumentare e non ridurre le disuguaglianze tra lavoratori. Tra i servizi preferiti, quelli sanitari. Con i salari bloccati e la “fame” di reddito, operai e lavoratori manuali preferiscono qualche soldo in più in busta paga rispetto ai servizi integrativi. Così il welfare aziendale rischia però di aumentare e non ridurre le disuguaglianze tra lavoratori. Tra i servizi preferiti, quelli sanitari. Solo nel settore privato potrebbe valere 21 miliardi di euro, quasi uno stipendio in più all’anno. Dopo anni di sperimentazione, il primo rapporto Censis-Eudaimon sullo stato del welfare aziendale in Italia fa il tagliando a uno strumento che ritroviamo ormai nel 40% dei contratti attivi (anche se le aziende che hanno sottoscritto contratti che prevedono una misura di welfare sono in realtà molte di meno).
“‘Il welfare aziendale è una iattura’, mi ha detto un candidato durante un colloquio, riportando la frase di un amico impiegato presso una grande azienda. Ma come? Durante la selezione per una società che offre servizi e consulenza in ambito welfare aziendale e mentre in giro non si parla d’altro, un lavoratore dice che si tratta di “una iattura”? In realtà, l’affermazione non mi ha sorpreso: da mesi rifletto sul boom del fenomeno welfare aziendale. Con i miei 16 anni di esperienza nel settore ho sentito la necessità di una riflessione seria sull’argomento. E mi piace pensare che questa riflessione possa essere utile ad altri.”
La consapevolezza della primaria importanza di diversità e inclusione sta crescendo in modo evidente nei luoghi di lavoro. L’assunto arriva da una recente ricerca condotta su scala internazionale da Lenovo (Cina, Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Brasile i Paesi coinvolti) secondo cui la tecnologia rappresenta oggi un fattore positivo nella diffusione e comprensione di queste tematiche, considerate dalla maggioranza del campione intervistato come un’opportunità per costruire una comunità (dentro e fuori l’organizzazione) e non più un risultato da ottenere.
ll Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne (2017-2020) deriva dall’attuazione del Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere che è stato adottato nell’estate del 2015 dal Ministro delegato per le pari opportunità come previsto dall’articolo 5 del DL. 93/2013 (L. 119/2013).
Il Piano è articolato secondo tre assi principali (prevenzione, protezione e sostegno, “perseguire e punire”) e un asse di servizio (assistenza e promozione).